Gramsci, filosofo, politico e fondatore del Partito Comunista d’Italia, fu incarcerato dal regime fascista nel 1926 e passò il resto della sua vita in prigione, fino alla morte nel 1937. Durante il periodo di prigionia, scrisse i celebri "Quaderni del carcere", una vasta raccolta di note e saggi che toccano una moltitudine di temi, dall'analisi della società capitalista alla riflessione culturale e filosofica.
L'opera di Gramsci è nota per la sua capacità di analizzare i rapporti di potere e il concetto di egemonia culturale, attraverso cui le classi dominanti mantengono il controllo non solo attraverso la coercizione, ma anche tramite il consenso.
Uno dei temi centrali di Gramsci è il concetto di egemonia, che si riferisce al dominio culturale e ideologico che una classe esercita sulle altre. Gramsci spiega come la libertà possa essere soffocata non solo con la violenza fisica o la repressione politica, ma anche con il controllo delle idee, della cultura e dell'educazione.
Per Gramsci, la libertà non è semplicemente una condizione politica o giuridica, ma una condizione legata alla coscienza critica delle masse. La vera libertà è possibile solo quando le persone sono consapevoli delle dinamiche di oppressione che le tengono in catene e si impegnano collettivamente per rovesciarle.
Gramsci introduce il concetto di intellettuale organico, cioè una figura che non si limita a essere un pensatore distaccato, ma che è direttamente coinvolto nella lotta politica e sociale delle classi subalterne. Secondo Gramsci, gli intellettuali organici svolgono un ruolo cruciale nel risvegliare la coscienza di classe e nel costruire un progetto politico che possa emancipare le masse.
Nelle sue riflessioni, Gramsci usa spesso metafore e parabole per spiegare concetti complessi come la libertà e la giustizia sociale. Queste "favole" sono strumenti per illustrare le dinamiche di potere e la lotta per l'emancipazione in modo accessibile e simbolico. Le metafore che usa rimandano spesso alla necessità di una lotta continua e di una vigilanza costante per evitare che le forze dominanti mantengano il controllo.
Gramsci vede nell'educazione uno degli strumenti fondamentali per la conquista della libertà. La cultura, intesa come patrimonio condiviso e come veicolo di coscienza critica, può essere utilizzata per rompere l'egemonia delle classi dominanti e costruire una nuova società basata sulla giustizia e l'uguaglianza.
Questo famoso motto di Gramsci riflette il suo approccio alla lotta politica. Anche nelle situazioni più difficili, come quella del suo stesso imprigionamento, Gramsci mantiene una visione ottimista della capacità umana di resistere e trasformare la società. Tuttavia, egli avverte che la lotta deve essere condotta con lucidità e consapevolezza, tenendo conto delle difficoltà e dei limiti imposti dalle strutture di potere.
Il titolo "Favole di libertà" può essere inteso simbolicamente. Le "favole" rappresentano non semplici racconti morali, ma potenti strumenti per trasmettere verità sociali e politiche. Gramsci, attraverso queste "favole", offre una riflessione profonda su come la libertà venga spesso presentata come un'illusione dalle classi dominanti, mentre la vera libertà richiede una presa di coscienza collettiva e un impegno attivo.
Le sue "favole" non sono storie di fantasia, ma allegorie della lotta reale per l'emancipazione delle masse, invitando i lettori a guardare oltre le apparenze e a comprendere le dinamiche di potere che regolano la società.
"Favole di libertà" rappresenta un concetto simbolico nella vasta produzione teorica di Gramsci, legata alla sua visione della libertà come processo storico e collettivo. Le sue riflessioni, pur scritte in un contesto di oppressione personale durante la prigionia, sono intrise di un profondo ottimismo verso la capacità dell'uomo di liberarsi dalle catene ideologiche e materiali. Gramsci invita a non arrendersi di fronte alla dominazione culturale e politica, ma a trasformare il mondo attraverso la consapevolezza, l'azione e l'educazione.